Sono passati oltre undici anni da quando, all’inizio del 2011, una generazione di egiziani scese in piazza a manifestare e protestare contro il sistema corrotto e malato che governava l’Egitto. Fino ad allora, gli egiziani erano sempre stati figli dello Stato, figli obbedienti del sistema militare. In piazza Tahrir – luogo simbolo di quella rivolta – migliaia dei “figli e figlie” dell’ultraottantenne Hosni Mubarak – la maggior parte dei quali non ancora nati quando quest’ultimo ereditò il potere da Anwar Sadat – trovarono nuovi stimoli e un nuovo legame con il proprio paese. Anche se, tra le canzoni e gli slogan, non mancarono botte e proiettili.
Tra questi “nuovi” figli dell’Egitto, e non più del capo supremo, uno dei più famosi è il programmatore Alaa Abd el-Fattah, veterano della strada e giovane blogger. Alfiere negli spazi online, dove tantissimi giovani hanno fatto rete e trovato una via di fuga, anche se solo virtuale, alla soffocante repressione politica e sociale in cui erano costretti a vivere. Per molti, la personificazione della narrazione di un nuovo inizio reso possibile in parte dai nuovi strumenti di condivisione globale delle informazioni e delle notizie.
Pochi anni dopo, un nuovo capo militare, Abdel Fattah al-Sisi, ha ripreso il controllo totale del paese. Il “Gramsci d’Egitto”, così è stato nominato Alaa, è stato nuovamente arrestato (Alaa è stato arrestato la prima volta nel 2006; una seconda volta nel 2011; e, infine, nel 2015 viene condannato a 15 anni di carcere), e insieme a lui gli altri circa 60mila detenuti politici. “Non siete stati ancora sconfitti” (You Have Not Yet Been Defeated), edito in Italia da Hopefulmonster, è una raccolta dei suoi scritti in questo turbolento decennio: dai saggi ai tweet pubblicati alle riflessioni scritte a matita su fogli improvvisati e portati fuori di prigione e tradotti da un collettivo anonimo di suoi sostenitori. Un messaggio che Alaa, a nome di tutti quelli che vivono la sua stessa situazione, vuole fare arrivare al mondo. Dall’euforia di quei giorni indimenticabili e caotici del 2011, passando per le argomentazioni sulla necessità di una nuova costituzione per l’Egitto a resoconti profondi delle violenze che lo Stato ha inflitto – e continua a farlo ancora oggi – a tutti coloro che lo sfidavano.
Un insieme di testi che dà vita a un quadro di principi di resistenza contro la repressione, ma anche di lotta per la costruzione della democrazia. Al contempo, testi che parlano della vita intima dell’autore e delle sue difficoltà: la resa dei conti con l’eredità lasciatagli da suo padre, Ahmed Seif el-Islam, avvocato per i diritti umani, imprigionato e torturato sia sotto Sadat che sotto Mubarak, e che Alaa non vedrà morire perché in carcere nel 2014; l’assenza al momento della nascita del figlio, Khaled, ancora perché detenuto, e la sofferenza a causa della distanza che lo separa dal figlio. Man mano che si avanti nella lettura, la disperazione sembra prendere il sopravvento sulla volontà di resistere. Tuttavia, l’appello a continuare sulla strada del cambiamento è il filo rosso centrale in tutto il volume.
Alla fine il lettore si porrà alcune domande, su tutte: a che servono speranza e resistenza se il prezzo da pagare è così alto? Ancora, c’è romanticismo in questa resistenza costretta dalla violenza istituzionale? Nell’evocazione del suo io umano, fragile, sofferente, Alaa rimarca lo stato insignificante della sua persona. Mentre le sezioni iniziali della raccolta sono più zelanti, assistiamo, come detto, a un calo in quelle successive. La prigione lo ha aggredito e lo sta soffocando giorno dopo giorno. Pur essendo privato delle libertà minime come “esercizio, aria fresca e acqua calda”, le sue pagine sono ossessionate dalla speranza. In tal senso, le parole di Alaa si trasformano in un editto per il futuro. La raccolta – oltre a ripercorrere dieci anni di lotte politiche in Egitto e a segnare le evoluzioni del paese a partire dalla rivolta del 2011 – è una mappa di pensieri, necessari e urgenti, per la costruzione di un mondo migliore… sempre se possibile. Un mondo dove la scrittura e il pensiero non siano percepiti come atti pericolosi per chi è al potere. Un mondo che forse non esisterà mai.
Nel frattempo, Alaa ha iniziato lo sciopero della fame da oltre quattro mesi e con lui si alternano quotidianamente migliaia di attivisti e suoi sostenitori in Italia e nel mondo. Alaa è diventato l’intermediario tra il potere e tutti i detenuti politici. Un potere che pare essere cieco difronte ai diritti umani. Come riporta anche Paola Caridi (giornalista, storica e curatrice de La stanza del mondo, collana all’interno della quale è stato pubblicato il volume in Italia), Mona Saif, sorella di Alaa, così scrive su Twitter: “Il regime egiziano è incapace di vedere quanto tutto ciò sia distruttivo per il futuro del paese, ma tutti quelli che sono stati in carcere sono usciti portando sulle loro spalle il peso di questa consapevolezza”. La consapevolezza che può esistere un futuro migliore, e un Egitto migliore.
Mario Savina